Ogni volta che mi capita di leggere le deliranti invettive di J-Ax contro coloro che si oppongono all’ostia sacra delle multinazionali, mi viene sempre in mente il dissing di Dj Gruff contro gli Articolo 31 del 1998, che in una (oggi) catartica strofa dice delicatamente così:

Mi sembra il caso che tu vada a fare in c*** altrove, butta la tua faccia in un bidone e datti fuoco!”.

Oh, parole di Gruff, mica mie! Io non mi permetterei mai! Che poi fb mette in castigo perchè incito all’odio! Sfortunatamente non sono dotato dell’indulgenza plenaria concessa dallo stesso zucky a J-Ax quando permette la condivisione di un articolo di repubblica in cui il suddetto dichiara tranquillamente che vorrebbe stirarci con la macchina per strada” e non c’è uno straccio di essere umano, in quella cloaca che è il main stream, che gli dica: “Mi scusi sig.Ax, ma si rende conto che cazzo sta dicendo?”

Comunque.. i dissing nel rap sono una specie di perculata in musica in cui scrivi rime per insultare la madre di un tizio enorme che probabilmente ha un M16 nel bagagliaio. Nella sicuramente meno asserragliata e testosteronica scena hip-hop italiana, uno dei più celebri dissing è proprio quello di Dj Gruff contro gli Articolo 31, nel quale dipingeva, già ai tempi, un quadretto piuttosto lungimirante del paladino dei feticisti della pandemenza.
In pratica accusava il duo di stare rovinando la golden age dell’hip-hop italiano con la loro virata stilistica Pop e più melodica per andare in contro al mercato discografico, perché J-Ax sarebbe statopronto a bere piscio per un po’ di fama”, in quanto “in testa hai solo la quantificazione”. In altre parole per uno dei guru della movimento, J-Ax stava svendendo al main stream la scena hip-hop nata nelle periferie di Milano, Bologna e Caserta. Quella degli anni 90. Un’epoca passata quasi sottotraccia come molto spesso accade alle novità che il pubblico non è ancora in grado di recepire.

Sono servite decine d’anni di perdurante importazione del prodotto culturale americano perché il grande pubblico fosse finalmente pronto all’esplosione dell’Hip-Hop di oggi. Quel movimento pioneristico italiano ha fatto da apripista a uno stile musicale che in Italia non si era mai ascoltato perché chi ascoltava rap, trent’anni fa, lo faceva ancora con dischi, cassette e poi cd importati d’oltreoceano. Quel movimento permise in seguito ad Alessandro Aleotti di diventare J-Ax e di divenirne l’ariete di sfondamento che permise al rap italiano di approdare a MTV, naturalmente già svuotato dei suoi contenuti più eversivi. Se non ci fossero stati i Sangue Misto, i Kaos e i Joe Cassano, non ci sarebbero stati i J-Ax e i Jovanotti e poi i Fabri Fibra ed oggi tutti gli altri.

Così, sebbene quel movimento di giovani (presunto?) ‘ribelli’, ‘anticonformisti’ (che parlavano di “portare i segni della repressione”, e gridavano il loro sdegno perchè “per me lo Stato è solo stato di minaccia”), adesso si sia inesorabilmente assuefatto, come tutta l’industria musicale, al diktat pandemico; non può che farmi sorridere (karmicamente) riascoltare uno dei fondatori del movimento underground e sapere che quell’ Alessandro Aleotti, lo avesse inquadrato proprio per bene, già un sacco di anni fa. Perchè sebbene i suoi testi fossero brillanti e spesso anticonvenzionali, evidentemente già si sentiva la puzza di marcio che esala la pelle di chi per fare business è disposto a tutto. Anche a riconvertire la propria anima al sistema produttivo.

Come peraltro confermò senza pudore alcuno (come fa chi crede ciecamente nel Dio denaro) lo stesso J-Ax con il pezzo “Non c’è rimedio” (se ti da fastidio quello che ho), contenuto nell’album “Così com’è”. Nella risposta in rap di Alessandro Aleotti a Gruff esaltava la già plateale e sfrontata ammissione di cosa fosse diventato. Peraltro con un notevolissimo giro di basso ad accompagnare le voci. Perchè gli Articolo erano pure bravi e avevano “flow” come pochi. J-Ax si definisce un “imprenditore”, un ‘entertainers’, che ha “già assaggiato che sapore c’è nel fondo. E mi fa schifo”. Indi per cui non vuole tornarci mai più. Perché nel “business sono un prince come flash” e “se mi vuoi, dammi cash”. E anche nelle interviste di oggi lo si pizzica ad ammettere che fa spot pubblicitari e va in programmi tv, cose che un tempo (quando era ancora giovane e soprattutto integro) non si azzardava a fare.

Un manifesto del ‘tengo famiglia’ che oggi quell'Alessandro Aleotti che un tempo rappava “Siamo nell’anno 2030, loro controllano televisione e radio, c’è un comitato di censura audio, valutano, decidono quello che sì, quello che no” ,
e che aveva chiamato il suo gruppo Articolo 31 per la Section 31 del Broadcasting Authority Act del 1976, una legge emanata dal parlamento irlandese che minacciava la libertà di espressione,

sembra, a dispetto del suo passato, aver eretto a pietra miliare della propria esistenza.


Perchè s
e entri nel business, poi è il business che entra dentro di te. E non ne esce più.