Sarà che sono fissato coi Mass Media perché si ostinavano a picchiarmi alle elementari.

Ma anche guardando The Last Dance, la serie sui Bulls di Michael Jordan, mi è venuto da pensare a loro.

The Last Dance è un documentario che se ami il basket è stata facile la cosa più bella di tutta la pandemia.

Ma anche se non lo ami, ti può dire comunque un mucchio di cose..

Mi sono sempre chiesto perché MJ a cavallo tra i due three-peet (le due triplette di campionati vinti con Chicago) avesse, all’apice della carriera (31 anni), attaccato le scarpe al chiodo con ancora così tanto da dare. Soprattutto visto il suo indomito spirito competitivo che lo fece tornare al basket giocato due volte e persino a 37 anni con la maglia dei Washington Wizards.

Beh, da quanto si intende dalla serie (che naturalmente esprime il punto di vista di Jordan) il motivo non furono Hakeem, Barkley o i dissapori col manager Jerry Krause.

Il motivo fu la stampa. L’arma più potente del ventesimo secolo, come scrisse Oswald Spengler. Talmente potente che riuscì a sconfiggere persino l’imbattibile Michael Jordan.

Alle redazioni non servirono una box&one o raddoppi sistematici per arginare MJ. Lo fecero alla vecchia maniera. Cioè come fanno sempre quando ci sono in ballo giocatori o personaggi pubblici di colore. Cercano lo scoop, ma soprattutto cercano il fattaccio, la drammatizzazione mortificante come se il loro compito morale fosse rimetterti al tuo posto. Nella melma.

D’altra parte, non è colpa loro. Le testate fanno il loro dovere. Vendere notizie che possono interessarci. Così se la notizia è drammatica bene,ma se il protagonista della notizia è famoso è meglio, perché sanno che un’ampia fetta dall’audience sarà disposta a comprare notizie che lo riguardano.

Ma c’è un livello successivo. L’apice della notiziabilità mediatica si raggiunge se sei ricco, famoso e di colore. Negli Stati Uniti e non solo, se pensate a quanto inchiostro sia stato versato su qualsiasi cosa facesse Balotelli.

È una legge non scritta. Le redazioni possono vendere copie/click giocando sulla battaglia razziale che loro stesse scatenano. Perché vendono sia a chi ama, sia a chi odia, mentre loro restano ben rintanate dietro a un ipocrita diritto di cronaca che spesso scade nel diritto di calunnia.

Esiste una interminabile lista di personalità celebri di colore che hanno ricevuto questo trattamento. Jack Johnson, Cassius Clay, Tyger Woods, Mike Tyson, O.J., Michael Jackson, Whitney Houston, Colin Kapernick per dire i primi che vengono in mente. South Park non a caso ci fece una puntata intera che vi consiglio perché fa molto ridere, ma poi quando finisce non ridi più per niente. Si intitola “Meeting Mr.Jefferson”.

Nell’episodio, e in generale, è evidente che i crimini (o presunti tali) dei neri (ricchi o poveri) sono sempre presentati in modo differente rispetto a quelli dei bianchi. Una tendenza descrittiva che ricorda tanto “Birth of a Nation” del 1915, forse il film più razzista mai girato, divenuto poi pellicola cult del Ku Klux Klan.

Non si esagera. Qualsiasi manuale di massmediologia vi dirà che gli afroamericani sono sempre stati rappresentati dai Media (e questo eco permane forte tutt’ora) come immorali, ladri e scansafatiche. Ovvero con la retorica giustificazionista schiavista. E poi ci si stupisce per un tredicenne bianco che vede un uomo di colore correre davanti a casa e che decide di sparargli alla schiena.

La giustificazione di questa follia è in televisione. H24 su FoxNews.

Non a caso, come ricordava anche Oprah Winfrey in una vecchia intervista, nelle riviste patinate erano tutti caucasici, mentre in quelle scandalistiche e di cronaca erano tutti di colore.

Michael Jeffrey Jordan nel 1993 era il simbolo dell’uomo di successo di colore. Non beveva, non fumava (tranne poi i sigari per festeggiare le vittorie) e non faceva tardi nei club. Era il volto pulito della NBA. Così, con lui dovettero fare del loro meglio. Cioè del loro peggio.

Non solo nell’assediare la vita privata del numero 23 più famoso della storia dello sport ma soprattutto per avvelenarla.

Nello specifico quando, dopo anni di ‘scoop’ sulle sue scommesse (che erano assolutamente legali e per di più in una nazione in cui esiste Las Vegas e tutto il Nevada) arrivarono a scrivere che suo padre James fosse morto non per colpa della violenza dell’America, ma per colpa del suo vizio di scommettere. Cioè dei balordi gli spararono mentre dormiva in macchina a bordo strada in North Carolina, ma la colpa era del figlio famoso che scommetteva.

Queste illazioni (presunti debiti di gioco) si dimostrarono totalmente infondate, e riuscirono anche nella non semplice impresa di convincere il volto della Nba e un maniaco della competizione, a smettere di competere.

Non paghi, quando MJ si ritirò la prima volta, scrissero che lo faceva non perché era nauseato da loro (aveva smesso di lasciare qualsiasi dichiarazione alla stampa) ma perché David Stern (commissioner Nba dell’epoca) lo aveva buttato fuori in quanto ludopatico. Insomma riuscirono a scrivere, restando seri, che il boss della NBA rompeva volontariamente un giocattolino che aveva esportato l’immagine vincente della Lega in tutto il mondo e raddoppiato gli introiti, per una questione di scommesse private assolutamente legali.

Magari avevano ragione loro, eh.

O magari ha ragione Jay-Z che rappa

"Black Nigga, Still Nigga"
Un negro ricco è sempre un negro.