Prospettive Distorte e Controstorie

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Come sapete, negli ultimi due anni mi sono chiesto sempre più spesso come facciano coloro che ancora vivono nel rassicurante lockdown celebrale ad ammettere, a carattere logico, la convivenza di idee in totale contrasto tra loro, senza cadere, nemmeno per un secondo, in un legittimo baratro amletico.
Gli esempi sono molteplici, dopo due anni di psicodemenza e verità di regime che si rivelavano panzane intergalattiche in un battito di ciglia. Il primo che mi viene in mente è l’essere ostinatamente convinti che i sieri magici funzionino e al contempo essere consapevoli (e ammettere candidamente) che i contagi siano aumentati a dismisura proprio nel 2021, a seguito dell’inoculazione di massa (in Italia venne registrato il record di contagi a dicembre 2021).
 
Spiegazioni logiche non ve ne sono. Perché la logica in questo paese è morta di overdose quando hanno mandato selvaggialucarelli a ‘intervistare’ il dott.De Donno.
È come se fossero prigionieri del libro “Doppio sogno” di Arthur Schnitzler in cui, in sintesi, l’individuo si inventa nuovi mondi illusori per non affrontare la realtà dell’esistenza.
Forse, però, può aiutarci a capire qualcosa (almeno un po’) di questi cervelli lesi, fare dei confronti col passato e, perché no, scomodare Hannah Arendt e il suo celebre resoconto (La banalità del Male) sul processo al gerarca nazista Eichmann.
 
Ora, mi scuso già in anticipo col direttorissimo mentana che sicuramente stasera mi chiamerà per dirmi di vergognarmi e che non devo nemmeno pensare alla Arendt perché non c’entra assolutissimamente niente e che dovrei scusarmi solo di averla nominata perché sono nouac, mica ebreo. Quindi stronzo per scelta.
Però sentite quale negazione della realtà, ma più che negazione quale DOPPIA REALTà vivesse, senza minarne minimamente convinzioni logicamente opposte, un burocrate nazista quale Otto Adolf Eichmann.
 
Quando nel 1961, dopo essere stato pizzicato in Argentina, venne processato a Gerusalemme per crimini contro l’umanità, Eichmann non ebbe alcun problema ad ammettere le nefandezze compiute dal regime nazista e il suo ruolo attivo (e impeccabile) nell’organizzazione di rastrellamenti, deportazioni di massa e campi di concentramento. Una delle cose che colpiscono di più è che questo grigio burocrate, che non faceva altro che eseguire ordini e ambire a una promozione come un normalissimo speranza roberto, sembrava (almeno alla Arendt) fermamente convinto che le sue azioni fossero in realtà un modo per ‘salvare’ gli ebrei. Secondo Eichmann il fatto di essere a capo del “Progetto Madagascar” con il quale il Reich progettava di deportare tutti gli ebrei fuori dall’Europa per trasferirli nell’isola africana, era la prova che egli in realtà operasse per ‘salvarli’ dalla pulizia etnica nel vecchio continente.
 
E fin qui uno potrebbe pensare a un maldestro tentativo di giustificarsi. Ma sarebbe un abbaglio. Eichmann ci credeva davvero nel progetto Madagascar. Nonostante tutto intorno a lui gridasse che era solo fumo negli occhi.
Infatti quando la Corte di Gerusalemme gli mise sotto il naso due documenti del 21 Settembre 1939 che erano passati dalla sua scrivania e che ventilavano la cosiddetta “soluzione finale” senza specificare cosa fosse, Eichmann avrebbe potuto giustificarsi testimoniando che la “soluzione finale” fosse appunto il progetto Madagascar di cui era a capo.
 
E invece dopo aver letto il documento disse senza esitazione che secondo lui “l’obiettivo finale” poteva solo significare lo sterminio fisico e che “questa idea basilare era già radicata nelle menti dei capi supremi”.
 
La doppia realtà. Eichmann avrebbe potuto e dovuto ammettere (perché le due prospettive erano in totale antitesi) che il Progetto Madagascar fosse una finta per depistare l’opinione pubblica e le agenzie internazionali. Avrebbe potuto dire di essere stato ingannato a sua volta.
Ma non lo ammise mai.
Non cambiò mai versione durante il processo, continuando ad affermare che il progetto Madagascar fosse assolutamente in agenda, sebbene in realtà la “soluzione finale” si stesse già attuando non solo in Polonia, ma anche nel resto d’Europa.
 
“Era come se quella vicenda fosse incisa su un nastro diverso della sua memoria, e non c’era ragionamento, argomento, dato o idea che potesse intaccare questa registrazione” scrive la Arendt.
 
La sua memoria era come un magazzino pieno di storie ed avvenimenti, totalmente scollegati tra loro e dunque insondabili in un quadro di insieme.